Descrizione
Immagine dell’arciere è tratta da un vaso proveniente dal kurgan Kul’-Oba risalente al IV secolo aC.
Questo vaso, in elettro è di estrema importanza per la ricostruzione della civiltà scitica, perchè oltre a dare un volto a questo popolo, la scena raffigurata svela uno dei racconti afferenti all’epopea scitica. Sulla pancia si svolge un fregio in quattro quadri che mettono in scena coppie di personaggi, mentre il quarto mostra un’uscita isolato, in piena azione. Con un ginocchio a terra, appoggiato sul piede fortemente incurvato, e con l’altro appoggiato al suolo, usa tutte le forze per fissare una corda a un arco. che quest’arco non sia suo appare chiaro, poiché l’uomo porta alla cintura la propria arma consueta che fa capolino dalla faretra. L’atteggiamento possentemente inarcato e la poca distanza che separa la corda dall’estremità dell’arma lascialo chiaramente capire che l’operazione sta per concludersi. Invece le scene successive rappresentano due personaggi piuttosto malridotti. Una delle scene ci mostra uno di questi che tenta di estrarre uno o due denti rotti dalla bocca del compagno. In un’altra uno dei personaggi medica la gamba ferita del compagno. L’ultima scena che a dire il vero potrebbe anche essere la prima di questo fregio in perfetto scorrimento, evoca due sciti che paiono conversare. Erodoto riferisce di un mito che potrebbe essere assimilato a queste scene, ma è una versione riveduta dei Greci del Mar Nero che si sposa perfettamente a questo vaso. Eracle, di passaggio per le terre scitiche, si sarebbe unito a una giovinetta-serpente e ne avrebbe avuto tre figli: Skythès, il più giovane, essendo riuscito a tendere l’arco e a cingere la cintura del padre, eredita il potere, mentre ai suoi due fratelli, feritisi durante la prova, si ingiunge di lasciare il paese. Il viso e la gambainfatti sono le parti che solitamente vengono colpite dalle estremità di un arco che, messo maldestramente tensione, sfugge e si distende di colpo.
V. Schiltz, Sciti, Rizzoli, 1994
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